Lontano dal mio intento è dare giudizi.
Come promesso accodo qualche riflessione al primo testo che vi ho segnalato: la Filosofia Indiana di S. Radakrishnan edizioni Āśram Vidyā.
Perché sì:
1) è utile una panoramica generale, anche se per ovvie ragioni mai esaustiva del pensiero indiano nel suo complesso: quantomeno aiuta a cogliere quell’infinito processo inter-discorsivo che i grandi testi di quella tradizione possiedono;
2) per l’utilizzo di un metodo comparativo che facilita noi occidentali (ruminanti o meno di filosofia) a comprendere alcune grandi categorie concettuali indiane e come esse si relazionino al nostro modo di organizzare il sapere;
3) per l’edizione in sé, a cura del gruppo Kevala, pseudonimo dei collaboratori di Raphael, fonte autorevole nella mediazione del pensiero advaita in Italia da molti anni;
Perché no:
1) alcune naïves descrizioni del popolo indiano, del suo vivere a contatto con la natura, dell’abbondanza e floridità di quella terra che avrebbe consentito agevolmente di vivere in esperienza contemplativa senza l’affanno delle preoccupazioni del quotidiano;
2) alcune semplificazioni del pensiero occidentale e del suo sentire tipo
“nel pensiero indiano troviamo una spontanea armonia tra Dio e l’uomo, mentre […] la principale tendenza della cultura occidentale è costituita da un’opposizione tra Uomo e Dio: l’uomo resiste alla potenza di Dio e gli sottrae il fuoco a vantaggio dell’umanità.”
Sentenziato tanto per dire con buona pace dei presocratici, di quell’Eraclito che ormai si finge di comprendere solo per citarlo al bar dopo qualche bicchiere in più, e di tanto pensiero che passando per Hölderlin innesta il pensiero tedesco sino ai giorni nostri.
Ci risentiamo presto, su questi stessi canali.
Buona Pratica